domenica 14 ottobre 2007

Riflessioni pessimistiche nel bosco

La maratoneta mi ha informata di un'iniziativa della blogsfera che intende invitare ognuno di noi a scrivere un post sull'ambiente ai fini di costruire un mondo migliore. Ho deciso di partecipare postando alcune foto scattate sabato da me nei boschi e  parlando di un film:

 
 Da piccola vidi sul piccolo schermo “2022 I sopravissuti” conosciuto anche con il titolo originale “Soylent Green”, un film di fantascienza del 1973 tratto dal romanzo di Harry Harrison “Largo! Largo!” (del 66) ispirato ad una ricerca fatta dal Massachusetts Institute of Technology su richiesta del club Roma (fondato dall’italiano Aurelio Peccei insieme ad alcuni Nobel). I risultati di questa ricerca furono pubblicati nel libro “Rapporto sui limiti dello sviluppo” (1972) che costituì il primo studio scientifico con lo scopo di documentare l’insorgere della questione ambientale in termini globali. (Wikipedia)

    
Il film documenta un mondo in cui non esistono più stagioni, solo un’interminabile e torrida estate, Un mondo privo ormai di qualunque risorsa naturale ed energetica, in cui non vi è più alcun ecosistema e perfino l’acqua viene razionata, un mondo dove chi ha meno di quarant’anni non ha mai visto dal vivo un animale o un paesaggio verdeggiante. Ogni città è divenuta una fortezza da cui non si può più uscire e tutto viene controllato sistematicamente dalla polizia. La location è una New York del futuro, abitata da 40 milioni di esseri umani che lottano continuamente per la sopravvivenza contendendosi cibo, spazio vitale e lavoro. Solo i benestanti ( all’apice della scala gerarchica vi sono i politici) possono permettersi una spesa di cibo normale-naturale ovvero un gambo di sedano, qualche mela, un costosissimo pezzo di carne. Gli alimenti tradizionali sono ormai scomparsi e quei pochi sono privi di sapore e di odore. L’unica sostanza nutritiva per le masse è il Soylent, barrette energetiche, in particolare il Soylent Green a base di plancton ormai unico alimento in una terra completamente inaridita.
               
Non svelo nulla del finale ultrapessimistico e macabro, per coloro che desiderassero visionare il film, ma voglio parlare di una scena che colpì particolarmente i miei sentimenti di bambina e m’impressionò a tal punto da imprimersi a fuoco nella mia memoria, tanto che ancora oggi dopo anni dalla visione di questa pellicola mi torna sempre continuamente in mente… o forse dovrei dire che mi pulsa nel cuore. Questa scena è nella parte finale di “2022” ed ha per protagonista il vecchio Solomon Roth (Sol) interpretato magistralmente da Edward G. Robinson, che già malato sulla scena, morì di cancro nello stesso 1973.
Sol è un uomo-libro, ovvero uno specialista nella ricerca in archivi e biblioteche (professione indispensabile in una società in cui ormai è stata annullata ogni forma di tecnologia) ed è abbastanza anziano da ricordarsi come era il mondo prima che l’inquinamento lo distruggesse. Premetto che il Governo, per alleviare il problema della sovrappopolazione aveva legalizzato il “suicidio assistito”, ovvero erano stati creati dei Templi in cui la gente poteva recarsi a suicidarsi in modo “confortevole”. Solomon dunque, ormai incapace di sopportare il drastico cambiamento a cui ha assistito ma soprattutto privo di forze per poter reggere il peso di una terribile scoperta (?...?) decide di sottoporsi all’eutanasia. Questa a mio parere è una scena magistrale della storia del cinema: il vecchio sdraiato su un lettino, in una stanza riservata dove morirà in meno di 20 minuti in maniera totalmente indolore, ammira su dei maxischermi intorno a lui delle meravigliose immagini che ritraggono la natura, ormai completamente estinta (prati fioriti, animali, il mare), il tutto accompagnato da una magnifica colonna sonora di musica classica (nel film possiamo ascoltare Beethoven, Grieg, Tchaikovsky). Vedendo questa sequenza ho pianto a dirotto con un immenso senso di ansia … e quel filmato l’ho “sentito” attraverso gli occhi di Sol, ovvero con la sua paura che tutto quanto io amo così visceralmente su questo pianeta potesse andare distrutto. Quando cammino in un bosco e godo di immagini reali e vive, del profumo della terra ancora fertile non posso non pensare a questo film. Quando sento al telegiornale o leggo dei passi da gigante che fa l’uomo ogni giorno nel ferire irrimediabilmente il suo habitat non posso fare a meno di pensare a questo film!!! Un semplice lungometraggio del 1973… si sta avverando così come si è in parte avverato 1984 di Orwell, forse la fantascienza, quando non pensava solo agli effetti speciali, ma ragionava di testa, voleva trasmettere un monito agli spettatori e ai lettori… era preveggenza. Mi auguro che così non sia… auspico di trascorrere la mia vecchiaia passeggiando in un bosco tenendo per mano forse un nipotino a cui insegnare a distinguere i funghi commestibili da quelli velenosi, a cui spiegare come si suona un filo d’erba e come si percepisce l’energia di un albero abbracciandolo. Temo una vecchiaia solitaria, supertecnologica, povera e arida con il rimpianto di quanto sarebbe stato bello almeno il narrare ad un bimbo la favola della natura “c’era una volta…”


 … Intanto stasera sono qui davanti al pc e nei boschi a causa del clima quest’anno non si è vista nemmeno l’ombra di un fungo. E’ sempre tutta casualità o la somma di tante casualità alla fine fanno la realtà??? 

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