venerdì 17 novembre 2006

Martin Eden


Oggi ho terminato prima di lavorare, amareggiata per certe situazioni vissute in ufficio, ho percorso la stradina che porta a casa mia tra l'odore di legna bruciata nei camini e un tappeto di foglie rossicce. Ho pensato tra me "la temperatura è finalmente scesa, come richiede la stagione... almeno la natura lotta per mantenere la sua normalità"... ho alzato il bavero della giacca e mi sono trascinata stanca verso il portone, avvolta da questo conciliante paesaggio autunnale... conciliante in quanto concilia con il mio "umor brumoso". Giunta alla dimora ho deciso di "viziarmi" un po', mi sono preparata una calda e densa tazza di cioccolato, spolverata con peperoncino e cannella, e ho scaldato la focaccia (nobile cibo ligure) nel forno. Riposto il mio umile pasto su di un altrettanto umile vassoio mi sono accocolata sul divano con la copertina e il libro "Martin Eden". L'ho finito e mi ha lasciato con l'amaro in bocca... a nulla valse la dolce cioccolata! Martin, giovane marinaio, lotta per più di 400 pagine per riscattarsi socialmente, crearsi una solida cultura e diventare un valido scrittore. E' determinato in questo e non si ferma davanti a nulla,  nemmeno dinnanzi alla fame e a debiti che spaventerebbero qualsiasi essere umano. Nessuno crede in lui... tutti denigrano i suoi scritti, tutti gli consigliano "di andare a lavorare"... non una parola d'incoraggiamento... non un piatto di minestra... perfino la sua fidanzata lo pianta chiusa nei suoi schemi sociali, formali e morali disgustamente borghesi. Eppure lui ce la fa... ma il sapore del suo successo è inutile e non gli dona la gioia sperata.
Improvvisamente tutti lo invitano a cena e lui si chiede quale differenza ci sia tra il Martin di prima, quello che tutti disprezzavano e a cui negavano un tozzo di pane, che già aveva composto le sue opere e cercava solo consensi, e quello attuale, ricercato e invitato da tutti perchè divenuto ricco e famoso. In fondo lui era sempre Martin Eden, lo stesso Martin Eden. Così il nostro eroe cade malato... ma non nel corpo bensì nella sua "macchina mentale". Non dimentica certo la gratitudine verso i pochi "compagni di ventura", a cui lascia praticamente ogni suo avere, tuttavia viene colpito da un'insana quanto naturale apatia causata soprattutto dalla banale spietatezza e dall'arrivismo del genere umano. Tutto perde di significato. Un ultimo barlume di un sogno lo spinge ad imbarcarsi verso le Marchesi, prenotando una cabina di prima, in basso a sinistra verso la prua. A bordo della nave ricerca un po' le sue origini tra i marinai, ma non ne gradisce la compagnia, tantomeno non si avvicina lontamente alla classe borghese scoprendosi così completamente solo ...stanco ... un pesce fuor d'acqua... e ricongiungendosi all'acqua esprimerà il suo ultimo pensiero, "Fu tutto quello che riuscì a sapere. Era caduto nelle tenebre. E nell'istante in cui lo seppe, cessò di sapere."
Ora cari lettori non allarmatevi, infatti è lungi da me sprofondare nei regni di Tritone e por fine a questa mia esistenza che continua ad incuriosirmi...se non altro per vedere fino a quali livelli può arrivare (non ci son limiti come c'insegna la legge di Murphy)... tuttavia carissimi a preoccuparsi è la sottoscritta perchè ogni giorno che passa si scopre sempre più apatica, disillusa e anche un tantino meno sensibile rispetto alla fanciullezza e ciò mi duole, perchè essendo ancor giovine dovrei condire la mia esistenza di impeti arditosamente rivoluzionari e antropofili... ma a che scopo?

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